giovedì 31 dicembre 2015

intrecceremo tuttavia i richiami di un desiderio tramutato in splendore

L’anno contiene quest’unico guado
verso di te. Ogni volta
lo trovo un poco più sommerso, l’onda
più gonfia, la corrente
più minacciosa. Eppure
io t’ho raggiunto ancora, ed ogni breve
istante che trascorro accanto a te
diviene un «sempre» e se ne nutrirà
anche il tempo deserto. Se una dura
legge c’imporrà un «mai», noi condannati
ed immobili sulle opposte rive
intrecceremo tuttavia i richiami
di un desiderio tramutato in splendore.
Così la Tessitrice ed il Pastore
si rispondono: Vega ed Altair
tra cui si snoda l’alto
stellato fiume.

Margherita Guidacci
Anelli del tempo
Edizioni Città di Vita 1993

mercoledì 30 dicembre 2015

In una cupa sera invernale la gioiosa frenesia di carta

Vorrei che tu vedessi la mia stanza in questo istante, una cupa sera invernale: i miei amati libri col dorso di pelle, così belli, ritti sugli scaffali, un bel fuoco, la luce elettrica, un'enorme massa di manoscritti, lettere, bozze, penne e inchiostri sul pavimento e un po' dappertutto. Fra una settimana ci sarà abbastanza disordine per uno sgombero generale, poi ricomincerò da capo, e poco alla volta ritornerò a una gioiosa frenesia di carta.

Virginia Woolf

martedì 29 dicembre 2015

e fisso il cielo – vedo là, tra le nuvole, un tavolino che oscilla

Di questo tavolino al caffè,
dove nei pomeriggi invernali brillava 
un giardino di brina,
sono rimasto io solo.
Potrei entrare, se volessi, 
e tamburellando con le dita nel freddo vuoto
convocare le ombre.

La nebbia d’inverno sul vetro è la stessa,
ma non entra nessuno.
Il mucchietto di cenere,
la macchia di putredine coperta dalla calce
non si toglie il cappello, non dice allegramente:
Prendiamoci una vodka.

Incredulo tocco il marmo freddo,
incredulo tocco la mia mano:
è così – io sto nel divenire della storia
e loro sono chiusi ormai per tutti i secoli
nel loro ultimo detto, nel loro ultimo sguardo.
Lontani, come l’imperatore Valentiniano,
come i duci dei Massageti, di cui non si sa nulla –
sebbene sia passato solo un anno, o due, o tre.

Posso ancora fare il boscaiolo nel lontano nord,
parlare da una tribuna o girare un film
con metodi che loro non hanno conosciuto.
Posso scoprire il sapore che ha la frutta delle isole oceaniche,
farmi fotografare vestito come usa nella seconda metà del secolo.
Ma loro ormai per sempre sono ridotti a busti in jabot e frac
di un mostruoso Larousse.

Pure talvolta, quando il crepuscolo colora i tetti della povera via,
e fisso il cielo – vedo là, tra le nuvole,
un tavolino che oscilla. Il cameriere volteggia col vassoio,
e loro mi guardano scoppiando a ridere.
Perché ancora non so come si muore per crudele mano di un uomo.
E loro lo sanno, lo sanno bene.

Czesław Miłosz
La fodera del mondo
Salvezza
traduzione di Valeria Rosselli
Fondazione Piazzolla
Roma 1966  

lunedì 28 dicembre 2015

Le parole sono trama e ordito della memoria

Elenco. Memoria

Cosa non devo dimenticare
     

  1. La notte, da piccola, nel letto della casa di Castagneto e Vittorio nel letto accanto. Il mio posto nel mondo, quello che pensavo che fosse. Il freddo delle lenzuola umide, il caldo della brace: insieme.
  2. Che il tempo non esiste. Siamo tutti al mondo allo stesso momento, nel   passato nel presente e nel futuro.
  3. Che è inutile spiegare questa cosa. Qualcuno la sa, qualcun altro non può ed è inutile.
  4. Le regole della salute: dormire almeno sei ore, avere rispetto del corpo, curarlo. Dedicare dieci minuti al giorno ad ascoltarlo e capire cosa chiede. Fare esercizio, camminare. Non usare farmaci se non è assolutamente necessario. Se non è. Assolutamente. Necessario.
  5. Chiamare la nonna. Scriverle qualche riga ogni giorno e inviarle una lettera ogni settimana.
  6. Il potere della musica. Lhasa de Sela, la sua voce.
  7. Il potere della lettura. Un libro, ovunque con me, sempre.
  8. Il potere delle favole. Non abbandonare il progetto di tradurre le fiabe raccolte nel mondo. Non rinunciare. Insistere anche quando sembra così faticoso. Doloroso.
  9. Todo cuadra. Questa formula, tutto è al suo posto. Ma non si può tanto tradurre. Tutto è proprio come deve essere. Non c’è da ostinarsi a spostare i pezzi. Bisogna solo osservarli muovere, vedere dove vanno. Questo siamo: spettatori attivi nel teatro dell’universo. È uno spettacolo, realmente, la vita. Todo cuadra.
  10. L’amore è fragile. È una cosa talmente magica che bisogna starci molto attenti. A come si dicono le cose. Svanisce, altrimenti: va via. Deve rimanere nel bello. Vive di sorrisi. Handle with care, con cura. Controllare le proprie ossessioni, non fare scenate di gelosia inutili. Non metterlo alla prova, soprattutto. Mai.
  11. Parole tranello. Capriccio. Colpa. Regola. Pericolo. Non giocare con queste parole. Quando sembra che gli altri conoscano le regole del gioco e tu no. Quando vogliono farti pensare che sei inadeguata, e alla fine davvero lo pensi. Quando vogliono farti dire che sei stata una bambina viziata, che hai giocato col fuoco. Che la colpa è tua. La colpa. È tua. Che non sei stata prudente, non hai visto il pericolo. Egoista, cieca. Bisognava sopportare. Non giocare con queste parole. Non toccarle. Sono trappole mortali.
  12. Quando sono scesa da Barnes&Noble, in libreria, a cercare una guida di New York. 11 settembre 2001. Gli sguardi delle persone attorno a me che si affacciavano per strada a vedere il fumo e dicevano un incendio, forse. La storia non la capisci mai mentre accade. È raro. Anche Vera, la mamma di David, mi diceva di quando furono portati nei campi: non lo capisci subito, è raro. La storia grande è uno spostamento piccolo nella tua vita. È la storia piccola della tua vita a essere grande.





questa lista della memoria è di Irina Lucidi, una donna fuori dal comune, il libro che racconta la sua storia è di

Conchita De Gregorio
Mi sa che fuori è primavera
Feltrinelli 2015

domenica 27 dicembre 2015

soltanto solo, sperduto, muto, a piedi, riesco a riconoscere le cose

Io avevo voglia di stare solo, perché soltanto solo, sperduto, muto, a piedi, riesco a riconoscere le cose.

Pier Paolo Pasolini
L'odore dell'India
Garzanti 2009

sabato 26 dicembre 2015

in questi silenzi in cui le cose s’abbandonano e sembrano vicine

I limoni

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
più chiaro si ascolta il sussurro
dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

Eugenio Montale
Ossi di seppia
1925

venerdì 25 dicembre 2015

ti ho dato il mio silenzio ed ho ascoltato il tuo

Nessuna parola

Poiché non mi veniva nessuna parola
(la parola era “addio”, ma non riuscivo a dirla)
ti ho dato il mio silenzio
ed ho ascoltato il tuo,

e non è stato un vuoto, ma condivisa pienezza
e ancora gioia, mentre accettavamo,
come la terra, un nostro tempo di neve,
bianco grembo d’attesa delle future estati.

Margherita Guidacci
Inno alla gioia
1983
in Le poesie
a cura di Mauro Del Serra 
Casa Editrice Le Lettere 1999

giovedì 24 dicembre 2015

Ora tutta la vita è nel mio sguardo, stella su te, sul mondo che il tuo passo richiude

La neve era sospesa tra la notte e le strade
come il destino tra la mano e il fiore.

In un suono soave
di campane diletto sei venuto…
Come una verga è fiorita la vecchiezza di queste scale.
O tenera tempesta
notturna, volto umano!

(Ora tutta la vita è nel mio sguardo,
stella su te, sul mondo che il tuo passo richiude).

Cristina Campo
Passo d’addio
All’Insegna del pesce d’oro - Scheiwiller 1956

mercoledì 23 dicembre 2015

Nuvole, mie terribili nuvole, guardiani del mondo

Nuvole

Nuvole, mie terribili nuvole,
come batte il cuore, è triste la terra,
nubi, nuvole bianche e silenziose,
vi guardo all'alba con occhi di pianto
e so che in me alterigia, bramosia
e crudeltà e il seme del disprezzo
per un sonno morto intessono il giaciglio
e i più bei colori della mia menzogna
hanno nascosto il vero. Chino gli occhi
e sento il turbine che m’attraversa,
ardente, secco. Oh, terribili siete,
nuvole, guardiani del mondo! Ch’io dorma,
possa la notte avvolgermi pietosa.

Vilna, 1935


Czeslaw Milosz 
Poesie
a cura di Pietro Marchesani
Adelphi

martedì 22 dicembre 2015

L'inverno inizia con nubi gonfie d'acqua

Inverno

Ecco, il mese di Posidone
comincia; e gonfiano d'acqua
le nubi e cupamente
le impetuose bufere rombano.

Anacreonte
Lirici greci
tradotti da Salvatore Quasimodo
Mondadori 1944

lunedì 21 dicembre 2015

Per imparare a scrivere bisogna scrivere, scrivere, scrivere

Ho un consiglio per le persone che vogliono scrivere. Non mi interessa se sono 5 o 500. 
Ci sono tre cose che sono importanti: in primo luogo, se si vuole scrivere, è necessario tenere un sincero, impubblicabile diario che nessuno legge tranne te. Dove buttar giù cosa pensi della vita, cosa pensi delle cose, ciò che pensi sia giusto e ciò che pensi sia ingiusto. 
E in secondo luogo, è necessario leggere. Non puoi essere uno scrittore se non sei un lettore. Sono i grandi scrittori che ci insegnano come scrivere. 
La terza cosa è scrivere. Basta scrivere un po' ogni giorno. Anche se è solo per mezz'ora - scrivere, scrivere, scrivere.


Madeleine L'Engle
in her biography by Aaron Rosenberg
(la traduzione è mia. E.P.)

I have advice for people who want to write. I don’t care whether they’re 5 or 500. There are three things that are important: First, if you want to write, you need to keep an honest, unpublishable journal that nobody reads, nobody but you. Where you just put down what you think about life, what you think about things, what you think is fair and what you think is unfair. And second, you need to read. You can’t be a writer if you’re not a reader. It’s the great writers who teach us how to write. The third thing is to write. Just write a little bit every day. Even if it’s for only half an hour — write, write, write.

domenica 20 dicembre 2015

il felice deposito celeste è una mobile casa della vita

Lo dico in brutta copia, a voce bassa,
ché non è ancora venuto il momento:
il gioco del cielo irresponsabile
si attinge col sudore e l’esperienza.

E sotto il cielo dimentichiamo spesso
- sotto un purgatoriale cielo effimero -
che il felice deposito celeste
è una mobile casa della vita

9 marzo 1937

Osip Mandel'štam
Cinquanta poesie
traduzione di Remo Faccani
Einaudi 1998

sabato 19 dicembre 2015

Il paesaggio che descrivo sono io stessa

Ars poetica - una polemica

Io sono io.
Sono personale,
soggettiva, intima, singolare,
confessionale.
Tutto quel che mi accade e si ripete
accade a me.
Il paesaggio che descrivo
sono io stessa.
Se vi interessano
gli uccelli, gli alberi, i fiumi,
consultate i libri degli esperti.
Io non sono un dato uccello,
un dato albero,
un dato fiume.
Io sono registrata solo
come un Sé,


Io, ovvero Io

Nina Cassian
C'è modo e modo di sparire
Poesie 1945-2007
traduzione di Anita Natascia Bernacchia e Ottavio Fatica
Adelphi 2013

venerdì 18 dicembre 2015

I tre criteri dell'opera d'arte: coerenza, intensità, continuità

Tra il 1924 e il 1927 Schnitzler riordina con passione aforismi vecchi e nuovi in cui racchiude, con il gusto del frammento che caratterizza il suo pensiero, una visione del mondo e una poetica. Piace lo stile, la ricchezza dei temi, la varietà delle prese di posizione su problemi artistici, morali e religiosi, le relazioni tra i sessi, la società del tempo, giudicata da Schnitzler con rigone e ironia.

Eccone alcuni

CREAZIONE E RISONANZA

1. I tre criteri dell'opera d'arte: coerenza, intensità, continuità.

2. Attorno all'artista c'è un elemento misterioso che lo pone in grado di afferrare l'ambiente circostante con forza incomparabilmente maggiore di qualsiasi altra persona, ma che al tempo stesso lo isola più implacabilmente di quanto farebbe la muraglia più massiccia.

Arthur Schnitzler
Il libro dei motti e delle riflessioni
introduzione di Roberta Ascarelli
traduzione di Claudio Groff
Rizzoli BUR 2002

giovedì 17 dicembre 2015

Chi piange la notte ha le stelle che piangono con lui

Ecco che esce di casa la vecchia cieca, per la quale ieri ho scritto una lettera al figlio in Egitto, e lei mi porta un antico Talmud e io leggo: non sottovalutare nessuno e non ritenere niente impossibile. Ogni persona ha la sua ora, ogni cosa il suo luogo. Chi piange la notte ha le stelle che piangono con lui.

Che connessioni. La donna anziana, con il suo libro antico, arriva direttamente dentro il mio cuore. Che strane connessioni. Io credo in una circolazione interna. E quando gli esseri umani distruggono questo mondo: la circolazione interna prosegue. D’altra parte non sono gli esseri umani. Siamo tutti noi. Io stessa ho fatto questo e quell'altro. Ho mollato e ho fallito. Questo finisce nella circolazione interna. Un punto malato qui o là. Chi lo sa?

Nelly Sachs
Lettere dalla notte

a cura di Anna Ruchat
La Giuntina Editore 2015

mercoledì 16 dicembre 2015

La parola mancante

Elenco. Parole

Dimenticare, ricordare.
     Etimo, radice: mente, cuore. Se dimentichi allontani dalla mente. Se ricordi riporti al cuore. (Natalia Revuelta, la donna che ha amato Fidel Castro prima che diventasse Fidel, quando aveva vent'anni, nell'unica intervista mai concessa: “Ho impiegato tutta la vita per trasferirlo dal cuore alla mente”. Un tragitto così breve e così tanto tempo. Poi, dalla mente, si dimentica. Non dal cuore.)
     Esistono anche scordare, rammentare. L’opposto: allontanare dal cuore, riportare alla mente. Indice di frequenza molto basso nell'uso comune. Regionale o letterario. Uno a mille. Vincono, nell'uso della lingua parlata, ri-cor-dare e di-men-ticare. (Recordare, dalla “Messa di requiem” di Mozart, cantava nonna Klara.)
     Sinonimi. Dimenticare, obliare. Oublier. Olvidar. Dal latino oblivium. Ob-liv. Verso l’oscurità. Diventare oscuro. Anche: scolorire. (Oblivion, Astor Piazzolla: musica – tuttavia – inolvidable, indimenticabile.) Dalla luce al buio, ci vuole più coraggio a dimenticare. Entrare in ombra.
     (Dimentichiamo quattro cose al giorno, dice uno studio sulla mente. Il cervello umano archivia quattro oggetti ogni giorno, li elimina – leggo. Dove vanno? Si possono recuperare? Come? Inoltre: quattro, perché quattro? Come fanno a contarli?)
Vedovo, vedova: chi ha perso il coniuge/compagno. Dal sanscrito: vindhale. Vuoto. Diventare vuoto. Ma anche: che non sta in due, quindi solo. (Chi non sta in due. Gemelli. Generati in due, partoriti in due, cresciuti in due. Dunque: se uno perde l’altro, è vedovo di gemello?)
     Uxoricida: chi uccide la moglie, uxor. Per estensione, chi uccide il coniuge. Chi lo perde per sua mano.
     Orfano, orfana: chi ha perso i genitori. Dal greco orphanos, in latino orbus. Privato, mutilato. Senza un pezzo. Anche orbato, in italiano. Non specifico. In Dante: orbati della luce. Ciechi: siete orbi? Privi di occhi. (Di nuovo il buio. Oublier, andare verso il buio orbati di memoria, allora.)
     Parricida: di figlio che uccide il padre, per estensione un genitore.
     Infanticida: di genitore che uccide un figlio.
    
     La parola mancante.
     Genitore che perde un figlio. Non che lo uccide: che lo perde. Come si chiama, come si dice, chi è qualcuno a cui è morto un figlio? Che posto occupa nella storia? Parola mancante, parola mancante. Mancanza, assenza. Chi l’ha cancellata?, quando? dal dizionario italiano, francese, tedesco, spagnolo, inglese. E poi: perché?
     In tedesco: manca. In francese: manca. In italiano: manca. In spagnolo: manca (deshijado, desueta e in disuso, indica colui che non ha figli. Che non ne ha generati). In inglese: bereaved, deprivato di chi si ama. Non specifica. Chi si ama, chiunque si ami.
     In ebraico, eccola. Dalla Bibbia riemerge. Av shakul, maschile. Em shakula, femminile. Verbo: shakal, perdere un figlio. Genesi 27, 45. Isaia 49, 21. Geremia 18, 21. Antico Testamento. C’era, ed è rimasta nella lingua moderna.
     In arabo, c’è. Thaakil, maschile. Thakla, femminile. Dalla stessa radice di shakul, la stessa origine.
     In sanscrito: vilomah. Contro l’ordine naturale, letteralmente. Non specifica, ma frequente nell'indicare la perdita di un figlio. (Mi piace molto, vilomah. Chissà se quest’“acca” alla fine si aspira, si respira. Mi piace molto il sanscrito, una radice un mistero.)
In greco moderno: charokammenos. Bruciato dalla morte. Charos, il maschile della morte. Non specifica, ma usata di preferenza per genitore che perde figlio. (Non mutilato, come vuole il termine orbato, ma bruciato. Non un pezzo mancante ma l’intera persona ustionata: nel corpo, piagata, e nell'anima. Tutta. È più giusto. Più esatto.)
In greco antico: orphanos, indistinto, indica i due lutti. Di chi ha perso il padre, di chi ha perso il figlio. Nelle due direzioni, la mancanza, identica. (Ma non è uguale. Non è uguale. Perché non esiste una parola per indicare il dolore di Andromaca di fronte alla morte del figlio Astianatte gettato dalle mura di Troia? È come perdere un’anziana madre, perdere un figlio neonato uscito dal tuo corpo?)
Orphanios, con la i. Un solo caso. Un epigramma dell’Antologia Palatina. 7,466. Libro settimo, quello degli epigrammi tombali. Frammento 466: Leonida. Madre sulla tomba del figlio: povero Anticle, povera me. La mia vecchiaia sarà vuota di te. Orphanios. Ecco, con la i. Una licenza poetica, dicono le note a margine. (Solo la poesia vede quel che gli altri non possono, non sanno o non vogliono vedere. La poesia e la musica.)

          Teknoleteira. Sofocle, Elettra, 108. Antigone parla dell’usignolo che ha perso il figlio. (La musica, il canto di un usignolo.) Radice: da teknon, bambino, e ollumni, perdere ma anche uccidere. È una parola usata una sola volta e molto controversa, scrive una studiosa. Elettra piange la morte del padre Agamennone e si paragona a un usignolo: “Come un usignolo che ha perso il suo piccolo resterò qui sulla porta di casa di mio padre e per tutti risuonerà l’eco del mio dolore”. È un riferimento a Procne, figlia del re ateniese Pandione, trasformata in usignolo. (Niobe figlia di Tantalo, a cui Apollo uccide i sette figli, è trasformata invece in roccia. Una roccia, a volte, e altre un usignolo. Come pietra capace di cantare. Un canto che gli umani non sentono. Un canto sott'acqua. Il canto delle balene. La mia voce e la loro, segreta. Solo per noi.)

questa lista delle parole è di Irina Lucidi, una donna fuori dal comune, il libro che racconta la sua storia è di

Conchita De Gregorio
Mi sa che fuori è primavera
Feltrinelli 2015

martedì 15 dicembre 2015

Ogni romanzo, che lo voglia o no, propone una risposta alla domanda: che cosa è l’esistenza umana e dove sta la sua poesia? La poesia sta nell'interruzione dell'azione, nella digressione, nell'incalcolabile

Fra tutti i romanzi di quell'epoca (il Settecento), il mio preferito è Tristam Shandy di Laurence Sterne. Uno strano romanzo. Sterne lo apre con la rievocazione della notte in cui Tristam fu concepito, ma ha appena incominciato a parlarne che viene sedotto da un’altra idea, e questa, per libera associazione, richiama un’altra riflessione, e poi un altro aneddoto, cosicché a una digressione ne segue un’altra e Tristam, l’eroe del libro, viene dimenticato per un buon centinaio di pagine.

Questa maniera stravagante di costruire il romanzo potrebbe sembrare un semplice gioco formale. Ma, nell'arte, la forma è sempre qualcosa di più di una forma. Ogni romanzo, che lo voglia o no, propone una risposta alla domanda: che cosa è l’esistenza umana e dove sta la sua poesia? I contemporanei di Sterne, Fielding per esempio, hanno saputo gustare soprattutto il fascino straordinario dell’azione e dell’avventura. Diversa è la risposta sottintesa nel romanzo di Sterne: per lui la poesia non sta nell'azione, ma nell’interruzione dell’azione.

Forse qui, indirettamente, si è avviato un grande dialogo fra il romanzo e la filosofia. Il razionalismo del Settecento si fonda sulla famosa frase di Leibniz: nihil est sine ratione. Nulla di ciò che esiste è senza ragione. Spinta da questa convinzione, la scienza si accanisce a esaminare il perché di ogni cosa, col risultato  che tutto ciò che esiste sembra spiegabile, dunque calcolabile. L’uomo cui preme che la sua vita abbia un senso rinuncia a qualunque gesto che non abbia una sua causa e un suo scopo. Tutte le biografie sono scritte in questo modo. La vita appare come una luminosa traiettoria di cause, di effetti, di fallimenti e di successi, e l’uomo, fissando lo sguardo impaziente sul concatenamento causale dei suoi atti, accelera ancor di più la sua folle corsa verso la morte.

Di fronte a questa riduzione del mondo alla successione causale degli avvenimenti, il romanzo di Sterne, con la sua sola forma, dichiara: la poesia non è nell'azione, ma là dove l’azione si ferma; là dove si spezza il ponte fra una causa e un effetto, e dove il pensiero vagabonda in una libertà dolce e oziosa. La poesia dell’esistenza, dice il romanzo di Sterne, è nella digressione. È nell'incalcolabile. È agli antipodi della causalità. È sine ratione, senza ragione. È agli antipodi della frase di Leibniz.

Milan Kundera
L'arte del romanzo
traduzione di Ena Marchi
Adelphi 1988

lunedì 14 dicembre 2015

Una lista della felicità

Elenco. Felicità

Cosa mi fa felice
     

  1.       Aggiornare questo elenco almeno una volta al mese. Cancellare cose poco), modificarle (a volte), aggiungerne (quando posso).
  2.       I dialoghi di Casablanca.
  3.       L’acqua del mare. Il mare.
  4.       Pippi Calzelunghe.
  5.       Die Winterreise di Schubert.
  6.       Le balene. Las ballenas jorobadas. Le balene con la gobba.
  7.       Le case sugli alberi.
  8.       La Sierra Nevada.
  9.       Luis.
  10.       I libri per bambini, quando sono belli (quasi tutti).
  11.       Il vino rosso, quando è buono.
  12.       Camminare in montagna, in salita. Il movimento. L’aria addosso.
  13.       Certe parole. Certi modi di dire. “Se la rempamplinflan”, per esempio.  Non gli danno importanza, sarebbe.
  14.       Il bosco quando il sole filtra poco.
  15.       Gli scarabocchi dei bambini sui fogli dei grandi, e anche sulle pareti.
  16.       Mia nonna.
  17.       Andare al cinema.
  18.       La compassione e il pudore. Insieme, meglio.
  19.       Vera, la mamma di David.
  20.       Sognare Alessia e Livia, sempre.
  21.       La voce di Luis, anche senza Luis.
  22.       Fare felice qualcuno.
  23.       Sorridere a uno sconosciuto per strada e vedere l’effetto che fa.
  24.       Scoprire una musica che non conoscevo, bella.
  25.       Dormire quando sono stanca. Dormire tutta la notte
  26.       Scrivere, leggere. Scrivere di quello che ho letto agli amici.
  27.       Gli amici. 
  28.       Un bacio all'improvviso, quando non lo vedi arrivare e un po’ fa anche         paura, all'inizio.
  29.       Ascoltare qualcuno che si indigna e ha ragione.
  30.       Correre in bici da corsa, volare.
  31.       Lavorare a un progetto insieme a qualcuno. Realizzare, insieme.
  32.       Louise Bourgeois con una scultura sottobraccio. Quella foto, quella scultura.

questa lista della felicità è di Irina Lucidi, una donna fuori dal comune, il libro che racconta la sua storia è di

Conchita De Gregorio
Mi sa che fuori è primavera
Feltrinelli 2015

domenica 13 dicembre 2015

L’amicizia e la conversazione sono piaceri squisiti, che fanno la felicità dell’esistenza

L'Angelo della poesia sta dunque, indimenticato, alle sue spalle, mentre una stessa chiave sembra aprire i vari registri di scrittura di Virginia Woolf, la chiave narrativa, che è anche la sua originale e sorprendente pratica nel caso della critica letteraria. Ai concetti, alle definizioni, si sostituisce l’invenzione di un’atmosfera in cui le opinioni vengono argomentate e offerte come una vera interlocuzione, l’apertura di un dialogo che moltiplica i suoi protagonisti, e crea uno scambio civile e alto. Mentre pone domande e risponde a interrogazioni mal poste, con precise correzioni, man mano disegna una diversa economia mentale e rivela lo sguardo differente e schietto di una donna sul mondo comune. C’è sincerità nella sua critica, e questo crea stupore in noi che leggiamo, perché la sincerità non viene in mente quando si tratta di questioni letterarie (più ovvio parlare di onestà intellettuale, correttezza, competenze…), e invece la parola che a lei meglio si attaglia è questa, che riassume tutte le altre in qualche modo elevandole, perché la scommessa è il mettersi in gioco interamente, non ipotizzare una conoscenza oggettiva, non barare con i propri lettori, non rendere oscuro il proprio pensiero per sembrare più colti, non inseguire il prestigio. La lettrice Virginia scrive certo per guadagnare le sue ghinee, costruire il bagno nella casa di campagna, comprarsi un gatto, fare quello che le pare, ma non perde mai di vista il luogo da cui vuole parlare, che è quello dell’amicizia, di cui sempre vive la sua stessa vita. L’amicizia e la conversazione sono piaceri squisiti, che fanno la felicità dell’esistenza e sono il cuore di ogni libera relazione.Questo e non altro è la sua sfida, «pensare le cose come sono» e «dire la verità», espressioni programmatiche non solo del lavoro dell’arte e sull'arte, ma forme di una politica del linguaggio che tiene sempre accostate la ricerca critica e la sperimentazione stilistica. C’è una bella parola, che lei stessa usa spesso per indicare il nucleo essenziale del rapporto che le interessa tra io e mondo, tra l’io e l’altro: integrity. Nel caso di un romanziere, l’integrità non ha a che fare con l’onore o il dovere morale, quanto piuttosto con la relazione con il lettore; se lo scrittore ci sta dicendo la verità, l’opera, nella sua struttura infinitamente complessa, può suscitare in noi le emozioni più contrastanti, in ragione di una forma che non è il risultato di relazioni fra cose, ma di un rapporto fra essere umano ed essere umano. Questo e nient’altro è la verità offerta dall'autore, questo e nient’altro la verità cercata dal lettore, in reciproca e sovversiva integrità. Attraversando lo spazio delle emozioni.

dalla prefazione di Liliana Rampello

Virginia Woolf
Voltando pagina
Saggi 1904-1941

a cura di Liliana Rampello
Il Saggiatore 2011

sabato 12 dicembre 2015

noi siamo le parole; noi siamo la musica; noi siamo la realtà

«Esiste un disegno dietro l’ovatta» dice in Immagini del passato, poche pagine di memorie scritte tra il 1939 e il ’40, raccontando dei colpi, delle scosse che fanno di lei una scrittrice, perché, ogni volta che li sente, messa di fronte alla «rivelazione di un altro ordine», è afferrata dall'urgenza di esprimere in parole «il segno di qualcosa di reale che si cela dietro le apparenze», di conferire «unità», scoprendo «i collegamenti precisi». Questo uno dei piaceri più intensi che dichiara, con un accenno alla sua «filosofia» (un’«idea» si corregge subito, infatti ricordo solo un altro passo, nel diario, in cui lei usa questo termine, quando dice di aver finalmente messo a punto la sua «filosofia dell’anonimato»), ovvero che «noi – tutti noi esseri umani – rientriamo nel disegno; che il mondo intero è un’opera d’arte; che noi siamo parte di quell'opera d'arte. L’Amleto, o un quartetto di Beethoven, è la verità su questa massa immane che chiamiamo mondo. Ma non esiste nessuno Shakespeare, non esiste nessun Beethoven; sicuramente e decisamente non esiste nessun Dio; noi siamo le parole; noi siamo la musica; noi siamo la realtà. E io lo vedo, tutto questo, quando subisco una scossa». Queste righe vibrano di emozionante autenticità: che noi siamo la realtà è l’approdo scoperto narrando il mondo, il suo personale desiderio di scrivere, ma è quanto ha scoperto in un viaggio che è andato contemporaneamente indietro e avanti nel tempo e le ha fatto inventare il suo presente, tempo verbale e tempo storico. Dalla sua poltrona, leggendo, ha viaggiato à rebours alla scoperta di una personale storia della letteratura che dal romanzo, la forma più recente (il genere «cannibale», che può contenere tutto e di tutto e che nasce da un individuo solo nella sua stanza), è tornata al teatro (dagli elisabettiani a Shakespeare, ai greci), su su fino alla poesia, matrice di ogni seguente spartizione del racconto del mondo. E intanto, dal suo tavolo, scrivendo, il viaggio ricominciava slanciandosi in avanti, all'inizio con romanzi più tradizionali (La crociera e Notte e giorno), poi man mano, anche usando la misura difficile e raccorciata del racconto, scardinando tutto, fino ad arrivare alle voci pure delle Onde e all'incredibile esplosione della lingua – puro suono – nel teatro di Tra un atto e l’altro. E scoprire, per queste due vie, l’estremo, quell'essere noi stessi la realtà. L’ombra grande della poesia si distende ovunque e fa luce, stranezza solo apparente, perché i lampi della lingua poetica compaiono e scompaiono intermittenti, non cercano la continuità, non temono i bianchi, gli interstizi, crescono in folate, scorrono e corrono lungo tutta la storia della letteratura, precipitano in pagine e pagine dei saggi critici, fino a scandirla e riordinarla anche tra classici e contemporanei, e si incarnano in figure decisive dei suoi romanzi. Septimus, Orlando, Carmichael…, tutti poeti; e che cosa sono in fondo Le onde?
dalla prefazione di Liliana Rampello

Virginia Woolf
Voltando pagina
Saggi 1904-1941

a cura di Liliana Rampello
Il Saggiatore 2011

venerdì 11 dicembre 2015

Le stelle lucenti degli antichi Greci

Lo stellato

Ardano attraverso la notte lungamente
le stelle lucentissime.

Ibico
Lirici greci
tradotti da Salvatore Quasimodo
Mondadori 1944

giovedì 10 dicembre 2015

E il buio scriveva reggendo in mano quella donna

Scriveva al buio


                                       A Ryszard Krynicki 


Quand'era a Stoccolma
Nelly Sachs lavorava
di notte a luce spenta
per non svegliare la madre malata 

Scriveva al buio.
La disperazione le dettava parole
pesanti come la scia di una cometa. 

Scriveva al buio,
in un silenzio rotto soltanto
dai sospiri del pendolo. 

Persino le lettere erano assonnate, 
la loro testa ricadeva sul foglio. 

E il buio scriveva
reggendo in mano quella donna
attempata come una penna stilografica. 

La notte poi si impietosiva, 
sulla città cresceva la grigia prigione dell’alba, 
l’aurora dalle dita rosate. 

Quando si addormentava, 
si svegliavano i merli 
e non vi erano pause 
nella tristezza e nel canto.

Adam Zagajewski
Dalla vita degli oggetti 
a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012

mercoledì 9 dicembre 2015

Una mente terribilmente sensibile

I più illustri scrittori di racconti in Inghilterra sono d’accordo, dice Murry, che come autrice di storie Katherine Mansfield era hors concours. Non ha avuto seguaci, né alcun critico è stato in grado di definire la qualità della sua opera. Ma i lettori dei suoi diari saranno ben contenti di non occuparsi di tale questione. Nel suo diario non interessa la qualità della sua scrittura o l’ampiezza della sua fama, ma lo spettacolo di una mente – una mente terribilmente sensibile – che recepisce e registra una dopo l’altra tutte le impressioni casuali e disparate di otto anni di vita. Per la Mansfield il diario era un compagno, qualcuno con cui aveva un rapporto di tipo mistico. «Vieni amico mio invisibile, sconosciuto» dice nell'iniziare un nuovo volume. In esso annotava dei fatti: il tempo, un impegno preso; descriveva brevi scene; analizzava il suo stesso carattere; descriveva un piccione, o un sogno, o una conversazione. Niente avrebbe potuto essere più frammentario; niente più intimo. Sentiamo, leggendolo, che stiamo osservando una mente sola con se stessa; una mente che così poco pensa a un pubblico da usare un tipo di scrittura stenografica di sua invenzione e che, come è incline a fare la mente quando si chiude nella sua solitudine, si divide in due e conversa con se stessa. Katherine Mansfield parla di Katherine Mansfield.

incipit della recensione ai diari di Katherine Mansfield
«A Terribly Sensitive Mind», Nation&Athenaeum, 10 settembre 1927
 
Virginia Woolf
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Saggi 1904-1941
a cura di Liliana Rampello
Il Saggiatore 2011

martedì 8 dicembre 2015

Leggevo e sognavo di questi oscuri avventurieri e certamente ne imitavo lo stile nel mio quaderno

Voglio fare della critica. Sì, e potrei mettere in luce un paio di personaggi oscuri. Sono i prosatori elisabettiani quelli che amai per primi, pazzamente, stimolata da Hakluyt che mio padre trascinò fino a casa apposta per me; ci penso con una certa emozione […] non so bene perché, ma mi estasiavo. Non ero propriamente interessata, ma la vista delle grandi pagine gialle mi incantava. Leggevo e sognavo di questi oscuri avventurieri e certamente ne imitavo lo stile nel mio quaderno.
8 dicembre 1929

Virginia Woolf
Diario di una scrittrice

Mondadori 1979
Minimum Fax 2005
traduzione di Giuliana De Carlo

I want to write criticism. Yes, and one might make out an obscure
figure or two. It was the Elizabethan prose writers I loved first and most wildly, stirred by Hakluyt, which father lugged home for me—I think of it with some sentiment—father tramping over the Library with his little girl sitting at H.P.G.* in mind. He must have been 65; I 15 or 16 then; and why I don't know but I became enraptured, though not exactly interested, but the sight of the large yellow page entranced me. I used to read it and dream of those obscure adventurers and no doubt practised their style in my copybook. I was then writing a long picturesque essay upon the Christian religion, I think; called
Religio Laici, I believe, proving that man has need of a God; but the God was described in process of change; and I also wrote a history of Women; and a history of my own family —all very longwinded and Elizabethan in style.

lunedì 7 dicembre 2015

tutti i muri sono coperti di versi

Alle 10 la giornata è finita. Talvolta sego e taglio legna per il giorno dopo. Alle 11 o alle 12 vado a letto. Sono felice del lumino proprio accanto al guanciale, del silenzio, del quaderno, della sigaretta, talvolta - del pane.
Scrivo malamente, in fretta. Non ho annotato né le ascensions in soffitta - niente scala (l'hanno bruciata) - mi isso con una corda - per prendere le travi, né le continue ustioni delle braci che (impazienza? esasperazione?) afferro direttamente con le mani, né le corse su e giù per i kommissionnye (che abbiano venduto tutte le mie cose?) e per le cooperative (che distribuiscano?).
Non ho annotato la cosa più importante: l'allegria, l'acutezza di pensiero, le esplosioni di gioia ad ogni più piccolo colpo di fortuna, l'appassionata tensione di tutto l'essere - tutti i muri sono coperti di versi e di NB! per il taccuino.
In soffitta
(Dagli appunti moscoviti, 1919-1920)


Marina Cvetaeva
Indizi terrestri
Diario moscovita 
1917-1919
a cura di Serena Vitale
Guanda 1980

domenica 6 dicembre 2015

Intitoliamolo così: Inverno

Nell'animo mio s'è insinuata l'indecisione. Tra l'altro mi pare adesso che il titolo "Il gabbiano" non vada. Splendore, Campo, Lampo, Baule, Cavatappi, Pantaloni... non va. Intitoliamolo così: Inverno. Si può anche: Estate. Si può. Si può: Luna. E perché non semplicemente Dodici?
Melichòvo, 5 febbraio 1893
frammento della lettera a Alekséj S. Suvòrin 

Anton Čechov
Epistolario 
volume secondo 
1893-1904
a cura di Gigliola Venturi
Einaudi 1960


sabato 5 dicembre 2015

Le strade solitarie dell'autunno

Nella sera d'autunno
lungo questa strada
non un viaggiatore

Matsuo Bashō
in
Haiku
Il fiore della poesia giapponese
da Bashō all'Ottocento
a cura di Elena Dal Pra
Mondadori 1998

venerdì 4 dicembre 2015

una visita autunnale

crepuscolo autunnale:
da solo faccio visita
a un'altra solitudine

Yosa Buson
in
Haiku
Il fiore della poesia giapponese
da  Bashō all'Ottocento
a cura di Elena Dal Pra
Mondadori 1998

giovedì 3 dicembre 2015

Il turbamento della scrittura

Lo stesso andare verso qualcosa che non si sa, è il turbamento della poesia. Ancora una conferma da Osip Mandel'štam quando scrive "l'aria del poema è l'inaspettato". Il turbamento è la scaglia di inatteso che scatta tra le fessure della scrittura. Un corpo si sporge sul linguaggio - come da un balcone -,  lo scruta e ne fa esperienza calibrando rischio e attenzione, attrazione e necessità. Il turbamento della scrittura è nella stessa scrittura che non sarebbe tale senza questo brivido, senza questo "scompiglio".

Antonella Anedda
Turbamento e scrittura
in Il turbamento e la scrittura
saggi raccolti da Giulio Ferroni
a cura della Fondazione Mario Tobibo
Donzelli 2010

mercoledì 2 dicembre 2015

Scrivere poesia è rappresentare gli eventi così da far scomparire il presente

L'arte vera del poeta è in grado di rappresentare gli eventi in modo così veritiero
che il lettore ha l'impressione di vedere scomparire il presente e tutto ciò che lo circonda e non solo sente di trovarsi di fronte a un'opera d'arte, ma resta talmente colpito dalla sua chiara naturalezza che dimentica persino di avere a che fare con una creazione artistica e partecipa all'evento in prima persona. il lettore si comporta come quell'uomo che, osservando in una scatola ottica uno splendido paesaggio, si addentrò in esso a tal punto da credere di sentire il profumo dei fiori e il leggero stormire delle foglie. Non dovrà avere vergogna, quest'uomo, se mille altri guardando nella scatola ottica non vedranno che un'immagine. Ogni opera d'arte deve trovare chi la sappia osservare e deve essere giudicata secondo il proprio criterio. C'è chi si avvicina a un'opera d'arte con l'intenzione di giudicarla. È questa un'impresa sciocca in quanto, proprio sforzandosi di ragionare immediatamente su tutto quanto si percepisce, ci si sottrae alla magia che ci sta per afferrare e il nostro giudizio finisce per diventare freddo. Ma le opere d'arte non sono che due tipi: quelle che ci avvincono e ci coinvolgono e quelle che, nonostante le critiche positive e gli elogi, non suscitano nessuna eco nel nostro animo. Solo quelle del primo tipo meritano di essere considerate vere opere d'arte, le altre lo sono soltanto di nome. 

Rainer Maria Rilke
Tutti gli scritti sull'arte e sulla letteratura
Il viandante. Sviluppo delle idee e significato della poesia goethiana
a cura di Elena Polledri
Bompiani - Il Pensiero Occidentale 2008

martedì 1 dicembre 2015

gli acini scuri dei ritratti, i cartigli dei nomi

III

Per trovare la ragione di un verbo
perché ancora davvero non è tempo
e non sappiamo se accorrere o fuggire.

Fai sera come fosse dicembre
sulle casse innalzate sul cuneo del trasloco
dai forma al buio
mentre il cibo s’infiamma alla parete.

Queste sono le notti di pace occidentale
nei loro raggi vola l'angustia delle biografie
gli acini scuri dei ritratti, i cartigli dei nomi.

Ci difende di lato un'altra quiete
come un peso marino nella iuta
piegato a lungo, con disperazione.

Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli 1999

lunedì 30 novembre 2015

ma tu partivi sempre la sera prima del mio arrivo

A cosa mi è servito correre per tutto il mondo,
trascinare, di città in città, un amore
che pesava più di mille valigie; mostrare
a mille uomini il tuo nome scritto in mille 
alfabeti e un’immagine del tuo volto
che io giudicavo felice? A cosa mi è servito

respingere questi mille uomini, e gli altri mille
che fecero di tutto perché mi fermassi, mille 
volte pettinando le pieghe del mio vestito
stanco di viaggi, o dicendo il tuo nome
così bello in mille lingue che io mai 
avrei compreso? Perché era solo dietro te

che correvo il mondo, era con la tua voce
nelle mie orecchie che io trascinavo il fardello
dell’amore di città in città, il tuo nome
sulle mie labbra di città in città, il tuo
volto nei miei occhi durante tutto il viaggio,

ma tu partivi sempre la sera prima del mio arrivo.

Maria do Rosário Pedreira
traduzione di Mirella Abriani
dalla rivista “Poesia”, Anno XXV, Ottobre 2012, N.275, 
Crocetti Editore

e grazie al blog Poesia in Rete ***

«De que me serviu ir correr mundo »

De que me serviu ir correr mundo,
arrastar, de cidade em cidade, um amor
que pesava mais do que mil malas; mostrar
a mil homens o teu nome escrito em mil
alfabetos e uma estampa do teu rosto
que eu julgava feliz? De que me serviu

recusar esses mil homens, e os outros mil
que fizeram de tudo para eu parar, mil 
vezes me penteando as pregas do vestido
cansado de viagens, ou dizendo o seu nome
tão bonito em mil línguas que eu nunca
entenderia? Porque era apenas atrás de ti

que eu corri o mundo, era com a tua voz
nos meus ouvidos que eu arrastava o fardo
do amor de cidade em cidade, o teu nome
nos meus lábios de cidade em cidade, o teu
rosto nos meus olhos durante toda a viagem,

mas tu partias sempre na véspera de eu chegar.

Maria do Rosário Pedreira

de “Nenbum Nome Depois”, Gótica, Lisboa, 2004